Famiglia Meridionale: tra stereotipi, realtà e trasformazioni sociali

22.04.2025

 Nel terzo capitolo del libro Antropologi e Mezzogiorno, Maria Minicuci ci guida in un viaggio critico tra letteratura, ricerca sul campo e cambiamenti sociali nella famiglia del Sud Italia.  

Ritorniamo, come promesso, ad approfondire il libro Antropologi e Mezzogiorno di Maria Minicuci, concentrandoci oggi sui capitoli 3 e 3.1, nei quali l'autrice esplora il tema della famiglia meridionale e l'evoluzione del suo studio da parte degli antropologi.

Il Sud d'Italia è stato spesso oggetto di ricerche che ne hanno delineato alcune caratteristiche emblematiche: il familismo, la miseria, la vita contadina. La famiglia, in particolare, è stata a lungo descritta come il fulcro della società meridionale, con una struttura patriarcale rigida e fortemente gerarchica: il padre-padrone da un lato, e la donna relegata alla casa e alla cura dei figli, dall'altro.

Tuttavia, studi successivi – tra cui quelli di Thompson e Moss – mettono in discussione questa rappresentazione semplificata. Analizzando la famiglia attraverso i romanzi di Verga, Levi e Silone, e con ricerche sul campo, i due studiosi rilevano una realtà molto più complessa. Le famiglie non si configurano solo come patriarcali, ma si articolano anche in forme nucleari e allargate. In particolare, Thompson e Moss descrivono un modello in cui, pur essendo il padre la figura dominante, è la madre a costituire il fulcro affettivo e organizzativo della famiglia.

Un altro elemento significativo emerso dalle loro ricerche è il ruolo crescente delle donne nel cambiamento sociale. Le donne del Sud appaiono più inclini al confronto, all'auto-organizzazione e al superamento delle rigidità tradizionali. Nonostante ciò, il secondo dopoguerra ha rappresentato al tempo stesso una spinta e un freno a queste trasformazioni.

Anche Douglass si inserisce in questo dibattito, criticando le generalizzazioni presenti nella letteratura precedente. Sottolinea come molte analisi siano state astoriche e concentrate esclusivamente sul mondo contadino. Nel suo studio su Agnone (Molise) degli anni '70, mette in luce l'esistenza della joint family e l'influenza dei fattori storici nella sua evoluzione. Una delle sue riflessioni più interessanti riguarda la distanza tra la forma familiare in trasformazione e l'ethos culturale che continua a promuovere un modello idealizzato e ormai superato.

Altra prospettiva ancora ci viene offerta dalla ricerca di Belmonte sul sottoproletariato urbano napoletano. Lontana da ogni immagine idilliaca, la famiglia in questi contesti emerge come luogo di tensioni, sospetti e violenze. L'autore rompe lo stereotipo della famiglia meridionale unita e protettiva, mostrando come le difficoltà economiche e sociali possano rendere la casa una prigione più che un rifugio.

Nonostante i conflitti interni, anche in queste realtà il ruolo della madre risulta centrale. Tuttavia, non si tratta né di matriarcato né di un'inversione del modello edipico tradizionale, quanto piuttosto di una configurazione madre-centrica, dove la donna esercita un'autorità rilevante. Gli studiosi concordano nel rilevare che, pur in un contesto di dominio maschile, la figura femminile mostra resistenza, capacità negoziale e apertura verso il cambiamento.

Nel complesso, il quadro che emerge dagli studi riportati da Minicuci è ricco e articolato: la famiglia meridionale non è un monolite, bensì un'istituzione dinamica, attraversata da trasformazioni storiche, tensioni interne e nuove configurazioni di ruoli.



Il lavoro dell'autrice si rivela dunque prezioso per chi voglia comprendere davvero la complessità della società meridionale e superare una volta per tutte gli stereotipi stanchi e riduttivi che l'hanno a lungo accompagnata.

Vi ringraziamo per l'attenzione e come sempre vi aspettiamo al prossimo articolo!

Per qualsiasi domanda o curiosità non esitate a contattarci nella pagina "contatti".



 Scritto da Matilde Perna.






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